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Precisazioni sui due principi dell'accadere psichico (1911) Vol 6 OSF

Ogni nevrosi ha l'effetto di sospingere l'ammalato fuori dalla vita reale, di alienarlo dalla relatà.
Il nevrotico si isola dalla relatà perché la trova insopportabile. Il caso limite di questo distacco dalla realtà è offerto da alcune forme di psicosi allucinatoria.
E' in questa riflessione che forse si può intravvedere una delle preziosità dell'analisi, che non cerca di eliminare gli aspetti disturbanti per la società di una persona sofferente, ma ha come ambizione di restituire la libertà alla persona sofferente psichicamente, cercando di restituirle la realtà dalla quale ha cercato ed è riuscita ad alienarsi.
Il rapporto con la realtà non è passimo ma attivo, come F. ci mostra in questo scritto, necessita di un investimento di energia.
Nella psicologia fondata sulla psicoanalisi, ci siamo abituati a prendree come punti di partenza quei processi psichici inconsci le cui proprietà ci sono divenute note attraverso l'analisi. Li consideriamo come i processi più antichi, primari, come residui di una fase di sviluppo nella quale essi costituivano l'unica specie di processi psichici. La suprema tendenza a cui obbediscono questi processi primari può venire indicata come principio di piacere-dispiacere (o principio di piacere). Qui per la prima volta compare la definizione di principio di piacere nelle Opere di Freud.
Ci possiamo porre alcune domande: dietro ad ogni sintomo vi è qualcosa di inconscio? Sappiamo che esiste un inconscio rimosso ed uno non rimosso, ossia relaitivo a quegli stadi dello sviluppo dove la memoria non era ancora rponta per memorizzare e registrare: a quell'epoca primitiva rimanevano trace nell'individuo di quanto gli accedeva ma non venivano rapresentate in alcun modo. Ma cosa c'è dietro una eprsona per esempio ansiosa? Una immagine rimossa e inconscia? Una modalità relazionale patologica forse in alcuni casi dove la persona vive tutta la vita come con dentro un residuo di un genitore in passato allarmante e non confortante. Nelle teorie post freudiane alcuni autori propongono che le persone internalizzino non tanto le immagini delle persone con cui sono venuti in cntatto quanto piuttosto le modalità relazionali che hano vissuto. In questo modo potrebbe essere molto ansioso un adulto cresicuto in infanzia da un genitore o in un ambiente che percepiva come non rassicurante (magari una mamma o un padre con sintomi depressivi o ansiosi). Qualcuno ci chiede ma allora un ansioso deve andare in analisi? E' bene a questo proposito stare molto cauti rispeto ale generalizzazioni. Un sintomo non vuole dire nulla e bisogna evitare le generalizzazioni ed i preconcetti. Ci sono tante persone che non hanno sintomi e vivono malissimo, come forse ci mostrano suicidi o comunque crolli emotivi commessi da persone che esternamente apparivano serene. La patologia non sta nel sintomo. In effetti comunque la psicoanalisi non è per tutti da nessun punto di vista, una persona al di là che si senta ansiosa o meno ma che senta che le manca quacosa per godersi appieno la vita e che non senta di vivere come desidererebbe: questa è la persona che dovrebbe afrontare l'analisi.
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